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7) Mille santi protettori per Sorrento

Avendo teorizzato che i cinque fusi contenuti nello stemma sorrentino sono da porre in relazione ai Patroni cittadini, riteniamo opportuno soffermarci su alcuni aspetti devozionali evidenziando l’ importanza di alcuni privilegi goduti dalla Penisola sorrentina in ambito ecclesiastico e l’ esistenza di un insospettato numero di Santi protettori.

PRIVILEGI E PREROGATIVE
I fedeli di sette parrocchie della Penisola Sorrentina sono tra i pochi al mondo che, ancora oggi, godono del privilegio di poter scegliere il proprio parroco-pastore.
Il che, in deroga a qualsiasi disposizione prevista dal diritto canonico, consente, di fatto, che la carica venga assegnata “democraticamente” e non in virtù di indicazioni verticistiche che prevedono la designazione vescovile.
Il fenomeno, per la sua singolarità e per il suo evidente carattere di eccezionalità, non manca di suscitare scalpore.
Eppure si tratta di ben poca cosa rispetto alle prerogative che, nei secoli passati, erano riconosciute come espressione dei diritti vantati tanto dagli stessi fedeli, quanto dall’ apparato ecclesiastico locale.
A prescindere dalle polemiche, più o meno fondate, circa la dignità della Chiesa sorrentina (che i più, in una sorta di ideale scala gerarchica regionale, vogliono seconda solo a quella napoletana, malgrado le pretese dei capuani) appare evidente che la Terra delle Sirene, anche in ambito ecclesiastico, abbia goduto di grandissima libertà e di eguale prestigio, fino ad epoche relativamente recenti.
Ciò, probabilmente, è dovuto tanto alle dimensioni del suo territorio (che spazia tra Castellammare di Stabia e l’Isola di Capri) quanto al riconoscimento della considerazione in cui veniva tenuta la nobiltà “civile” ed “ecclesiastica” espressa in zona.
Basti pensare ai meccanismi che hanno regolamentato la nomina dei vescovi prima e degli arcivescovi poi.
Su questo fronte è illuminante Pasquale Ferraiuolo (ne “La Chiesa Sorrentina e i suoi pastori”): “Inizialmente la designazione della persona che si voleva per vescovo spettava al clero della diocesi e al popolo. In seguito il concilio lateranense II, tenuto nel 1139, modificò profondamente l’operato della Chiesa, escludendo dalla partecipazione alla nomina del proprio vescovo i laici ed il clero in generale, riservando tale nomina al solo Capitolo della Chiesa Cattedrale.
Anche questa facoltà, già nel secolo XIII, venne limitata e ristretta dalla sede apostolica, che si riservò il diritto di provvedere, in molti casi, alle diocesi vacanti, anche se durante il concilio di Basilea, tenuto nel 1443, i vescovi furono di parere contrario. Infatti troviamo che verso la fine del secolo XV, in Italia ed in genere nei suoi paesi latini, si perdette completamente l’usanza di elezioni capitolari. Nel Meridione poi, con la formazione del Regno Normanno, si ebbe una certa ingerenza dell’autorità civile che apportò modifiche alle disposizioni del Concilio Lateranense II.
Infatti troviamo che i Capitoli eleggevano sempre il proprio vescovo, ma l’eletto non poteva essere consacrato né immesso nell’ufficio pastorale, se non era persona gradita al Re.
Tale sistema rimase in vigore anche durante la dominazione Sveva. Cambiò invece sotto gli angioini e gli aragonesi, il cui intervento nella nomina dei vescovi, tranne in caso di patronato, fu escluso ed i Capitoli ripresero la loro primitiva libertà
”.
Ai fini del nostro lavoro, però, ben più articolati approfondimenti meritano anche altri aspetti.
Come quelli relativi al numero dei Santi Patroni, alle ragioni che ne hanno determinato la scelta ed alle mutazioni che sono intervenute nel variarne l’importanza agli occhi dei fedeli.
UNA CITTA’, MILLE PROTETTORI
Tra i tanti meriti che vanno riconosciuti a Giovanni Paolo II, figura anche quello di aver dato, durante il suo lungo pontificato, risposte concrete alle sollecitazioni pressanti formulate dai fedeli in ordine all’esigenza di riconoscere i meriti che hanno trasformato tanti “semplici cristiani” in altrettanti Santi. Tra le intenzioni Vaticane non può esserci il desiderio di cancellare antichi culti, ma è innegabile che ci siano evidenti degenerazioni.
Accade spesso, infatti, che molte nuove devozioni stiano soppiantando altre più remote. Quasi come se qualche “vecchio” Santo stesse perdendo le proprie virtù taumaturgiche e miracolose in favore di quelli “emergenti”.
Quello delle variazioni degli “indici di gradimento” sul fronte devozionale, per certi versi, ripropone un fenomeno che, per secoli, ha già caratterizzato la storia di Sorrento. Oggigiorno, infatti, tutti riconoscono in Sant’ Antonino Abate il Patrono della Città.
Molti meno sono quelli che conoscono l’esistenza di almeno altri quattro compatroni (i quattro Santi Vescovi di Sorrento: Attanasio, Baccolo, Renato e Valerio).
Pochissimi, infine ricordano che i sorrentini, con il trascorrere degli anni, hanno acclamato un numero di patroni e protettori che supera cinquanta “avvocati celesti” e che hanno attribuito loro, in funzione dei vari momenti storici, una importanza che si è modificata nel tempo.
I primissimi cristiani locali, ad esempio, al di là del culto riservato al principe degli Apostoli, San Pietro, non possono aver fatto a meno di alimentare la propria fede nel ricordo dei martiri sorrentini.
Al riguardo non si hanno notizie certe, né sull’esatto numero, né sul nome di coloro che sacrificarono la vita in nome della fede.
Le ipotesi storiografiche più accreditate, rifacendosi al Martirologio Romano parlano di Marco, Quinto, Quartilla, Quintilla ed altri nove compagni (dunque tredici in tutto), ma è certo che, a lungo, i sorrentini hanno riservato particolari attenzioni alla chiesa dei Quaranta Martiri.
Al punto che proprio questa Chiesa, assieme a quella di San Giacomo della Marina Grande (nel 1770) finì al centro di una disputa tra Don Giuseppe Guardati, da una parte, e Don Baccolo e Reverendo Canonico Girolamo Ammone, dall’altra.
Dell’episodio si conserva una dimostrazione del diritto di pertinenza (in favore del primo) presso il Museo Correale.
L’ipotesi che i martiri in questione, unitamente a San Pietro, possano essere stati i primi Patroni, non è suffragata da prove, ma la tesi, è, in ogni caso, assai verosimile.
Quanto al patronato di Sant’Antonino, così come quello dei Sant’ Attanasio, San Baccolo, San Renato e San Valerio, non ci sono, invece, dubbi di sorta se non in ordine all’”importanza” che ciascuno di essi ha avuto nella storia della Terra delle Sirene con il trascorrere dei secoli.
In questo senso le ipotesi più o meno verosimili circa la localizzazione della Cattedrale nella Chiesa di San Renato di Sorrento offrono abbondanti spunti di riflessione.
Come pure li offre il fatto che certamente anche la Chiesa dei Santi Felice e Baccolo – sia pure per un periodo di tempo limitato a pochi secoli – ha avuto la dignità di Cattedrale.
Né può essere sottovalutata la lettura offerta dagli studiosi circa le immagini raffigurate sul Follaro sorrentino.
I più ritengono che su una delle due facce della moneta è stato effigiato un vescovo (dunque non poteva essere Sant’Antonino) e precisano che esso potrebbe essere San Baccolo.
L’ipotesi che proprio quest’ultimo, assieme a San Renato e probabilmente anche a Sant’Attanasio e San Valerio, possa aver goduto, in passato, di maggiore prestigio rispetto all’attuale “Principe dei Patroni sorrentini” è tutt’altro che peregrina. Tanto più che il tempio dedicato all’Abate Antonino conobbe vero splendore solo a partire dalla fine del XIV secolo.
L’elenco dei protettori sorrentini, in ogni caso, è ancora particolarmente copioso.
Sempre tra i Patroni locali, infatti, figurano: San Gennaro e San Nicola di Bari (come sostenuto da Pasquale Ferraiuolo, aiutato nelle ricerche storiche da Luigi Fattorusso, Antonino Fiorentino ed Achille Laudonia in “Chiese e monasteri di Sorrento” oltre che da altri).
Ma le indicazioni più singolari sono contenute ne “La Penisola Sorrentina – Istoria – Usi e costumi – Antichità” di Manfredi Fasulo, secondo il quale nel 1773 “Mediante votazione si nominarono avvocati e protettori di Sorrento, San Vincenzo Ferreri, con voti 30 favorevoli ed uno contrario e i Santi Nicola da Tolentino e Michele Arcangelo “viva voce” a unanimità, rigettandosi così la controproposta di Francesco Maria Correale, che voleva si fossero prima realizzati i donativi promessi agli antichi patroni”.
Lo stesso Fasulo dopo aver sottolineato che “questo fatto delle votazioni per la nomina dei Santi Protettori, è varie volte ripetuto e costituisce uno degli usi più caratteristici di Sorrento nel secolo XVIII” aggiunge più avanti: “I fratelli della nuova confraternita dei Sette Dolori, nel 1737, supplicano la “Città” di mettersi sotto la protezione “molto vantaggiosa” dell’Addolorata col farle ogni anno la stessa offerta che si dava alla vergine del Rosario. Il cavaliere Francesco Antonio Correale, chiamato a dar parere, esponeva che la città doveva, prima di eleggere altra protezione, ripristinare e pagare gli assegni fissati per gli antichi “patroni” tra i quali San Filippo Neri e la Maddalena. Ma l’Università nominava protettrice l’Addolorata senza votazione “viva voce, nemine discrepante” con relativa offerta”.
Ed, infine, sempre Fasulo, arricchisce ulteriormente la lista puntualizzando: “Nel 1741, per secondare il volere della S.C. dei Riti, si rinominarono “a voti secreti” san Nicola da Tolentino a Patrono di Sorrento…. L’anno seguente il Parlamento Sorrentino, dopo aver fatta l’elezione dei soldati, previa Messa nel Carmine e giuramento di osservanza ai Reali Ordini, nominava, a voti secreti, anche San Rocco, Patrono. Nel 1749 poi per accrescere la schiera dei protettori, si aggiungeva San Francesco Saverio con votazione a bussolo”.
E qui, fatta salva qualche involontaria omissione, si conclude l’elenco.
Alla luce dei dati e delle indicazioni emerse risulta evidente che l’argomento è sicuramente meritevole di quegli ulteriori ed opportuni approfondimenti che, per non disperdere energie e non appesantire il nostro lavoro, per il momento, non riteniamo di effettuare.
In questa opera, infatti, nell’affrontare l’argomento, si è inteso solo porre le premesse che serviranno, in seguito, a comprendere meglio i successivi ragionamenti.
Resta il fatto che la scala di valori che si registra oggi sul fronte patronale è ben diversa da quella dei secoli passati.

© Testo integralmente tratto da “Lo stemma della Città di Sorrento, origine e significato, certezze ed ipotesi, note araldiche e cavalleresche” di Fabrizio Guastafierro, pubblicato a Sorrento nel 2005 da Edizioni Gutenberg ’72 Sorrento