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Cenni storici sulle marine di Sorrento

1.1.8 Il Vincolo archeologico
L’interesse archeologico di Sorrento è legato, in gran parte, alle notevoli testimonianze del periodo imperiale romano, durante il quale la città divenne uno dei centri più apprezzati dalla nobiltà patrizia.
Oltre alla villa di Pollio Felice sul Capo di Sorrento c’erano altre notevoli ville, tra cui quella dell’imperatore Ottaviano Augusto, che viene localizzata proprio sul promontorio che divide la Marina Grande di Sorrento dalla zona del porto di Sorrento, dove si trova oggi Villa Astor.
Il sito viene anche ricordato come la villa di Agrippa Postumo, nipote dell’ imperatore, che vi fu esiliato.
Il culmine della fortuna di Sorrento in epoca romana coincide con l’ inizio di una progressiva decadenza iniziata nel 79 d.C., quando Sorrento subì gravi danni per il terremoto causato dall’ eruzione del Vesuvio che distrusse Ercolano e Pompei.
Della Villa restano le bellissime grotte del II secolo a.C. e la pregevole peschiera che avvalorano la leggenda di un Agrippa Postumo che, appassionato di pesca, si sarebbe fatto chiamare “Nettuno” durante il suo esilio sorrentino.
Su queste testimonianze si sofferma il documento contenente gli indirizzi di governo dell’ amministrazione comunale (linee programmatiche del mandato amministrativo 2000-2005), laddove indica la necessità di u restauro e recupero delle peschiere di Agrippa Postumo nel paragrafo dedicato alla valorizzazione e tutela del patrimonio immobiliare della città.
Un altro sito di riconosciuto interesse è la Porta della Marina Grande di Sorrento, che è stata probabilmente sino al sec. XV l’ unico accesso alla città dal mare (lato nord – occidentale). Nonostante i rifacimenti e le modifiche subite, conserva gran parte dei lineamenti originali con la tessitura isodomica con l’ adesione dei blocchi su giaciture perfettamente planari. Alla porta viene attribuita un’ origine greca non sufficientemente documentata (sarebbe il secondo esempio di arco greco dopo la “Porta Rosa” di Velia).
Sono ancora visibili tratti delle mura fiancheggianti la via che dall’ esterno conduceva alla porta.
Proprio attraverso questo varco passò la tragica invasione dei Turchi del 13 giugni 1558, a causa, secondo la tradizione, di uno schiavo della famiglia Correale che lasciò aperta la porta allo scopo di facilitare l’ irruzione dei suoi conterranei.

SBARCO DE’ TURCHI IN SORRENTO
Ruggiero, come abbiam detto, fugò i Saraceni dal Regno di Napoli, e dalla Sicilia, e le nostre provincie acquistarono allora la pace e tranquillità; ma disgraziatamente dopo Ruggiero, avvennero per questi regni varie vicende e cambiamenti di Governo, sicchè le provincie di nuovo furono mal guardate e difese. I Saraceni traendo profitto da tali circostanze, vennero ad infestar di bel nuovo il nostro litorale, e segnatamente nell’epoca di Carlo V, quando questi due regni furono governati dai Viceré, e mancavan quindi di una forza imponente, come l’avevan in tempo che vi risiedevano i Sovrani. Ciò essendo, nella seconda guerra che si accese tra l’imperatore Carlo V, e Francesco I re di Francia, quest’ultimo per opporre maggior resistenza a Carlo, si alleò coll’Imperatore Ottomano Solimano II, valoroso guerriero, ma crudele, seguendo da siffatta alleanza grandissimi danni pel regno di Napoli.
Infatti Solimano spedì da Costantinopoli il famoso Barbarossa con poderosa armata, e soldati da sbarco in soccorso di Francesco, e nel ritornar che fece da’ mari di Francia dopo due anni, cioè nel 1522, minacciò varie città ed isole dell’Italia, e segnatamente del Regno di Napoli, eseguendo de’ sbarchi colla rovina di più paesi. Indi nel 1558 fuvvi la nota invasione dei Turchi a Massa e Sorrento con la totale rovina di quelle due città, fatto che ci è stato esattamente conservato da due notari, D. Antonio de Turri di Massa Lubrense e D. Antonio Castaldi residente allora in Napoli. Il primo che fu testimonio oculare di quanto successe nella sua patria, scrisse il tutto con ogni precisione ed esattezza; ma di Sorrento appena, accennò che fu parimenti dai barbari nello stesso giorno invasa.
Il secondo poi in un suo manoscritto, che tuttora conservasi in Sorrento, intitolato: “Progressi e successi nella città e Regno di Napoli” e diviso in quattro libri, ha registrato le seguenti notizie, relativamente alla detta città.
<<Nell’anno 1558 venne quasi all’improvviso l’armata turchesca ne’ mari del Regno, e saccheggiò Sorrento e Massa, ed affinché sappiasi come passò l’affare dico, che il Viceré sospettando che venisse una armata navale nemica ne’ nostri mari, voleva mandare per guardia di Sorrento dugento soldati spagnuoli; ma dal governo municipale non si vollero ricevere, fidandosi i sorrentini alle loro forze. La mattina intanto de’ tredici giugno, prima dell’alba l’ armata disbarcò molta gente in Massa, e sotto Ceremenna nel Golfo di Salerno; le galere turche cinsero tutta la costiera e vennero al Capo di Sorrento e non vedendo gente di guardia sul littorale si avvicinarono alla marina grande: e come che le rupi ivi sono alte, non ardivano di scendere a terra; ma si dice che uno schiavo di un cavaliere della famiglia Correale di Sorrento, si fece vedere da un’altura e chiamò i turchi suoi nazionali, incoraggiandoli a sbarcare; e si vuole ancora che questo stesso schiavo gli aprì la porta della marina, ed essendo entrati, il primo soggetto di rapina che loro si presentò fu il Monistero di San Giorgio, che era appunto sopra la marina grande, dove catturarono quelle infelicissime monache: dalle colline vicine contemporaneamente discendevano i turchi, ch’erano disbarcati nel mare di Salerno.
Nel primo bisbiglio i sorrentini cominciarono a fuggire verso il Piano, che per non essere arrivati i turchi ancora su la strada consolare, che dal Piano conduce a Sorrento, moltissima gente si potè salvare, guadagnando i monti di Vico Equense.
Il governatore intanto di Sorrento essendo un uomo coraggiosissimo, e di nazione spagnuolo, credette di poter resistere ad un nemico, il quale era già in possesso della piazza: unitosi dunque con D. Pompeo Marzati ed altri cavalieri si recarono insieme; ma erano in picciol numero, e si stabilirono vicino Porta, innanzi al largo del Castello, ed ivi attesero i turchi, che non tardarono a comparire dalla strada di S. Antonino. Allora i cavalieri si cambiarono alcune fucilate; ma ben presto comparvero altri turchi dalla strada de’ Sedili, e quindi la zuffa divenne gagliarda, restandovi ucciso il Governatore, il quale col suo coraggio tratteneva al loro posto quei pochi cavalieri, che vedendo dipoi esser vaga ogni difesa, e certa la loro schiavitù o morte, cedettero prudenza di cercar salvamento nella fuga.
I turchi intanto essendosi resi padroni della città entrarono nelle chiese e nelle case, ed uccisero tutte le persone di età avanzata, facendo cattivi gran numero di uomini, di donne, fanciulli e monache; bruciarono le abitazioni, dopo di averle saccheggiate, e fecero tutte quelle crudeltà, che in casi simili possono praticare uomini barbari e crudeli.
Miserabile veramente e lagrimevole spettacolo! Onde io, che del bel Sorrento, per esser mia seconda patria, ne sono pur troppo affezionato, lascio pel dolore di scrivere il resto.
L’armata dopo di essersi caricata di prede, nel secondo e terzo giorno comparve nelle acque di Procida, ed ivi si fermò, aspettando che si facessero i riscatti de’ cattivi; e sebbene si mandasse a patteggiare col Bassà, pur tuttavia per la gran tiepidezza de’ sorrentini l’armata finalmente partì, sicché bisognò in seguito mandare in levante per ottenere la libertà de’ miseri catturati: il Viceré di Napoli era allora D. Giovanni Manriquez de Lara>>.
E qui finisce il notaro Antonio Castaldi il suo racconto su l’ invasione dei turchi in Sorrento.
Donnorso fa ascendere il numero dei catturati a molte migliaia; ma quella cifra sembra esagerata, asserendo Molignano esser stati soltanto due mila. Lo stesso Donnorso afferma che l’armata dei barbari era forte di 120 vele, e che questa saccheggiò prima la città di Reggio, e poscia venne sopra Massa e Sorrento.
…Persico nella sua storia di Massa Lubrense fa i dovuti elogii della nobiltà sorrentina, la quale in quella circostanza sacrificò ciecamente le proprie sostanze pel sollecito riacquisto della libertà de’ suoi parenti, e soggiunge che tutti i Massesi comodi fecero lo stesso: che anzi per tutta la provincia di Napoli i predicatori in quella quaresima raccomandavano giornalmente l’elemosina per i schiavi poveri Sorrentini e Massesi. Racconta dappiù lo stesso Persico, che un celebre predicatore francescano, dal pergamo dell’ Arcivescovado di Napoli disse all’udienza una mattina: “Popolo Napolitano vi raccomando i poveri schiavi sorrentini e massesi; essi son vostri fratelli e vostri paesani, soccorreteli per quanto potete; per me povero francescano altro non posso dare che questa tazza d’argento, che per carità mi è stata data né posseggo altro” e disse ciò con tanta commozione d’affetto, che in quella mattina si raccolsero da due mila ducati tra denari ed oggetti preziosi.
Tra i catturati sia in Massa, che in Sorrento non si poté avere più notizia di moltissimi, i quali probabilmente morirono nel viaggio; ed il Segni asserisce, che nella spedizione di Barbarossa i barbari gittavano in mare i cristiani morti e semivivi, e che i medesimi perivan soffocati per esser stivati nel fondo delle galere.
(da GENNARO MALDACEA, Storia di Sorrento. 1841)

L’idea progetto descritta dallo SDF non prevede, ovviamente, alterazioni del patrimonio archeologico oggetto di vincolo: il collegamento pedonale all’esterno e in galleria sarà realizzato salvaguardando le testimonianze di interesse archeologico. In ogni caso, la presenza di un percorso pubblico nelle adiacenze di beni di elevato interesse, pur comportando di per sé la valorizzazione di queste testimonianze, richiede adeguati interventi di tutela e salvaguardia.