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I martiri sorrentini

A prescindere dalla verosimiglianza del passaggio di San Pietro in Penisola Sorrentina, la storia dei primi anni del cristianesimo nella stessa zona registra, forse a distanza di quasi due secoli, un’ altro episodio volto a testimoniare il radicamento della fede sul territorio: il martirio di un non meglio precisabile numero di cristiani (quello più frequentemente indicato è di tredici), avvenuto, probabilmente, tra la fine del I secolo e la prima metà del secolo III.
Anche in questa circostanza è da evidenziarsi il particolare non irrilevante che la notizia è frutto di informazioni estremamente incerte ed al centro di dispute e controversie.
Ciò nonostante si deve prendere atto che, in questo caso, l’ evento – sebbene talvolta riferito a realtà diverse da Sorrento – è riportato da vari martirologi (in primis da quello Romano) e da altre pubblicazioni.
Sull’ argomento Bartolommeo Capasso è intervenuto in maniera esaustiva chiarendo, tra l’ altro, che a generare più di qualche perplessità è stata la diversità di versioni fornita da varie fonti rispetto a quello che si ritiene essere lo stesso martirio (1).
Fatto è che fin da epoca remota, Sorrento ebbe una Chiesa dedicata ai suoi martiri, edificata fuori della cinta muraria (a pochi passi dalla porta principale della Città stessa) e più precisamente dove oggi sorge la Chiesa del Carmine.
Volendo fornire informazioni meno vaghe riportiamo di seguito – testualmente – le informazioni contenute in una pubblicazione curata dai Padri carmelitani della Città del Tasso agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso.
“Il ricordo di una Chiesa, sita fuori le mura della Città, si perde nella storia dei primi secoli di Sorrento cristiana, che fu, come molti storici sostengono, uno dei centri onorati dalla visita del Principe degli Apostoli. Infatti la ininterrotta tradizione ci ha tramandato che S. Pietro predicò in una località chiamata poi S. Pietro a Mele (Sottomonte).
Edificata probabilmente su di un tempio pagano, essa fu dedicata da tempo immemorabile ai Santi Martiri Quinto e compagni, che colsero la palma del martirio nel I – II secolo d.C.
Il Martirologio Romano nel giorno 19 marzo commemora: «A Sorrento la Festa dei SS. Martiri Quinto, Quintilla, Quartilla e Marco con altri nove».
Detta chiesa la troviamo espressamente nominata (almeno dai documenti finora esaminati) nel secolo XIV e XV.
Il Capasso nelle sue «Memorie storiche della Chiesa sorrentina» così scrive: «Di detta Chiesa si fa menzione in moltissimi istrumenti del XV secolo, che si conservano nel protocollo di Notar Ambrosio Auriemma ed anche in un diploma del 1384, inserito in alcune scritture sull’ Abbadia di S. Pietro a Crapolla… ».
L’ illustre storico Arcivescovo Filippo Anastasio, nell’ anno 1731, dopo aver parlato della Festa liturgica dei SS. Martiri e alludendo al tempio edificato loro fuori le mura, aggiungeva: «probabilmente già dal tempo di S. Gregorio Magno fu edificato da un certo ex-Prefetto Gregorio, di cui si parla nella lettera dello stesso Sommo Pontefice pocanzi accennata… ».
La lettera, a cui si riferisce Mons. Anastasio, è così riportata dal Capasso: «Fu inviata da S. Gregorio Magno a Giovanni, che fu vescovo di Sorrento dal 590 al 598; in essa il Papa imponeva a quel presule di dare i corpi dei SS. Martiri conservati nella Diocesi ad un certo Gregorio ex-Prefetto, desideroso di dedicare ai medesimi ed altri Santi una basilica…». E qui lo storico aggiunge che in quei tempi si conservavano in Sorrento solo i corpi dei 13 Santi concittadini martiri.
Da quanto detto si potrebbe dedurre che l’ edificazione di una Chiesa dedicata ai SS. Martiri rimonti già alla fine del VI secolo d.C.
Di certo si può affermare che prima della venuta a Sorrento dei Carmelitani già esisteva un tempio in onore dei SS. Martiri Quinto e Compagni.
Infatti, dalla S. Visita di Mons. Del Pezzo dell’ anno 1648, si apprende che il «Monte di Carità» da lui visitato in una «cappella sita nel Chiostro di S. Maria del Carmine extra moenia», era già stato ivi eretto nell’ anno 1548, come testimoniava un «istrumento di fondazione per mano del notaio Nicola de Nicolais».
Inoltre, nei documenti della S. Visita di Mons. Brancaccio del marzo 1572, risulta ancora eretta in detta Chiesa l’ antica Confraternita del «Monte della Carità», il cui rettore era un certo Abbate Marco della nobile famiglia dei Sersale. In quella occasione il Presule ammonì i Maestri di detta Congrega, esortandoli a restaurare la chiesa, trovata malandata e non bene amministrata…
Verso la fine dello stesso anno 1572, la Chiesa dei SS Martiri venne affidata ai Carmelitani del Carmine Maggiore di Napoli.
Priore della nuova Comunità fu nominato P. Bartolomeo Pasca.
Questi, già Priore di Napoli, religioso zelante e pio, con pingue eredità donatagli dalla madre Giustina Gravante e con le offerte dei generosi cittadini, iniziò subito la costruzione di una Chiesa più grande, immediatamente attigua alla preesistente chiesetta dei SS. Martiri” (2).
La singolarità della devozione che vide interessati i sorrentini attorno alle figure di questi martiri, le sue origini comunque remote e la riscontrabilità della lettera con la quale San Gregorio Magno, nella sua qualità di Pontefice, impose la consegna delle reliquie a “Gregorio ex prefetto” lasciano ritenere che l’ esistenza di questi Santi sorrentini possa essere considerata verosimile.
Sull’ argomento, in ogni caso, restano non poche zone d’ ombra.
Non è possibile, infatti, stabilire – se non con larga approssimazione – l’ epoca in cui i Martiri Sorrentini furono giustiziati.
E nemmeno è possibile, al di là delle immagini proposteci dai molto più “recenti” dipinti custoditi nella Cattedrale e nella Chiesa del Carmine di Sorrento, stabilire quali furono le modalità del loro supplizio.
Peraltro – a proposito della già citata lettera di Papa Gregorio Magno – non si possono tacere alcune particolarità.
La missiva, infatti, non solo non fu indirizzata al solo Vescovo di Sorrento Giovanni, ma anche ad altri vescovi (ad Agnello, Vescovo di Terracina; a Felice Vescovo Portuense; a Fortunato, Vescovo di Napoli; a Primario Vescovo di Nocera; a Glorioso, vescovo ostiense e ad Albino Vescovo di Formia) e non specifica dove “Gregorio ex prefetto”, beneficiario della disposizione papale, avrebbe eretto la basilica da dedicare al culto dei martiri la cui vera identità ed il cui numero resta comunque un enigma.
Anzi a tale ultimo riguardo si ha il dovere di introdurre un ulteriore elemento che se da un lato potrebbe essere considerato corroborante della tesi della reale esistenza dei martiri sorrentini, dall’ altro genera ulteriori motivi di perplessità.
Nella preziosa Biblioteca della Società di Storia patria di Napoli, infatti, è custodita la copia di un documento che Saltovar donò al Museo Correale di Sorrento il 23 aprile del 1934: la “Dimostrazione del diritto di pertinenza a pro di D. Giuseppe Guardati, Patrizio della Città di Sorrento contra D. Baccolo e Reverendo canonico Girolamo Ammone Patrizij della stessa Città sopra i Benefici, o legati Pii sotto la denominazione di S. Giacomo della Marina Grande, e de’ SS Quaranta Martiri di Sorrento”.
Il raro libricino, curato da Francesco Peccheneda, fu stampato a Napoli nel 1770 – certamente in pochissimi esemplari – e fu elaborato come relazione da sottoporre a Ippolito Porcinari, Regio Consigliere, affinché si esprimesse su una controversa vicenda patrimoniale che, per l’ appunto, vedeva contrapposti gli appartenenti a due famiglie nobili locali.
Questa particolarità, quindi, fa sì che non ci siano notizie più dettagliate riferibili, sia pure vagamente, ai pur più volte citati “Quaranta Martiri di Sorrento”.
Inoltre è da evidenziare che la pubblicazione a stampa appena citata, pur riportando il testo di vari documenti (alcuni risalenti anche alla prima metà del XVI secolo) – nei quali si fa esplicito riferimento ad una rettoria che portò la singolare denominazione e le cui origini, malgrado riferimenti anche ad epoche precedenti, vengono fatte risalire dall’ autore al 1184 – non contiene indicazioni, né sulla sua consistenza patrimoniale, né sulla sua esatta ubicazione.
La “novità” sul numero dei Martiri Sorrentini (3) e sugli impliciti aspetti devozionali che li riguardarono, in ogni caso, sebbene offrano ulteriori spunti di riflessione, non sembrano alterare il quadro generale finora rappresentato, né compromettere, malgrado le tante incertezze, la loro effettiva esistenza.

Fabrizio Guastafierro

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Note:
1 Sul punto, Bartolommeo Capasso in “Memorie Storiche della Chiesa Sorrentina” (edito per la prima volta a Napoli nel 1854 dallo Stabilimento dell’ Antologia Legale e più recentemente ristampato, in copia anastatica, da Forni Editore di Bologna) ha scritto (da pagina 3 a pagina 5): “…certo si è che la nostra città fin dai primi tempi venne illustrata dal martirio di alcuni fedeli. Difatti nel martirologio romano ai 19 Marzo noi troviamo celebrarsi in Sorrento la memoria Sanctorum Martyrum Quinti, Quintini, Quartillae et Marci cum aliis novem. Se non che qualche scrittore ha dubitato del martirio di questi Santi, e del loro appartenersi a Sorrento; dal perchè alcuni manoscritti riferiscono alquanto diversamente i nomi di essi. Così in alcuni Codici del martirologio detto di S. Girolamo, nel Codice manoscritto del Labbè, nel manoscritto Augustano di S. Udalrico , ed in altri che possonsi leggere presso i Bollandisti (1. c.) i nomi di essi Santi leggonsi in modo, che Sorrento invece di essere la città cui si attribuiscono, pare il nome proprio di alcuno di essi, mentre che poi è indicata l’ Africa per il luogo del martirio; ed oltre a ciò in altri Codici dove sta scritto generalmente Sorenti, leggesi Soretini o Orietini. Ma pure una tal difficoltà non sembra essere di molto peso; imperocché tralasciando che Sorrento negli antichi Codici spesso è scritto Sorentum, noi troviamo in altri manoscritti, e questi in maggior numero, con assai chiarezza nominata la nostra città nel farsi menzione di questi Santi. Infatti nell’ antico Martirologio pubblicato dal Rosweido leggesi Apud Surrentum Quinti, Quintilli ,Quartillae Martice cum aliis octo, in quelli di Usuardo e di Adone Arcivescovo di Vienna Apud Surrentum Sanctorum Quinti, Quintilli, Quartillae, Marci cum aliis novem, e così pure nell’ edizione del martirologio fatta dal Palazzolo, ove solo invece di Quinti leggesi Quirici ; nell’ edizione di Venezia del 1522 fatta per cura del Bellino da Padova: in quella del 1576 pubblicata dal Maurolico da Messina; e finalmente in altri moltissimi manoscritti e neoterici moderni, che noi per non dilungarci di troppo tralasciamo. Oltre a ciò il Patriarca Antiocheno adduce un’ altro argomento onde comprovare il martirio e la patria di questi Santi. Egli dalla lettera di S. Gregorio Magno, colla quale costui prescrive a Giovanni Vescovo di Sorrento di mandare a Gregorio Exprefetto le reliquie dei SS. Martiri, che nella sua Diocesi riposavano, deduce avervi dovuto allora esistere in Sorrento molti corpi di martiri, dirigendosi il Santo Padre a quel Vescovo per averne le reliquie. Or non è certamente inverosimile che questi corpi fossero quelli de sopranominati Santi, non essendovi in Sorrento memoria di altri martiri oltre questi, né sapendosi essersi prima di quei tempi da altri luoghi quivi trasferiti. Che anzi se potessimo con sicurezza seguire la lezione del martirologio Ottoboniano pubblicato la prima volta dal Giorgi da un Codice secondo lui del secolo X, noi avremmo puranche tra questi martiri la memoria di un Vescovo Sorrentino per nome Leonzio, mettendosi nel medesimo ai 19 marzo Depositio Sancii Leontii Episcopi Sorrentini cum aliis novem; ma per mancanza di altre pruove non possiamo con sicurezza attribuire quest’ altra gloria alla Chiesa Sorrentina. Ci basta soltanto di averlo qui rammentato, e di lamentare anche nello stesso tempo, come ci accadrà spesso in avvenire, la perdita delle antiche scritture riguardanti la storia ecclesiastica della Penisola Sorrentina, perdita che in molti punti importanti ci lascia nella ignoranza e nella oscurità.
Da ultimo, a tutte le ragioni che abbiamo di sopra esposte intorno alla esistenza ed alla patria di questi Santi martiri, aggiungiamo l’ antica tradizione dei Sorrentini ed il vetusto calendario di quella Chiesa rammentato dal Patr. Antioch. (Op. Cit. p. 19), nonchè la Chiesa ai medesimi Santi intitolata ivi da tempo immemorabile esistita fuori le mura della città. Essa trovasi menzionata in moltissimi istromenti del secolo XV che si conservano nel protocollo di Notar Ambrosio Auriemma, ove si legge stipularsi il contratto apud Porticum Sanctorum Quarti et Quinti fratrum in foro civitatis Surrenti etc, ed anche in un diploma del 1384 inserito in alcune scritture sull’ Abbadia di S. Pietro a Crapolla che si conservano nell’ Archivio Metropolitano di Sorrento, ore tra i beni di Carluccio Marramaldo, si ricorda quaedam domus sive taberna cum apothecis iuxta se sita in foro civitatis Surrenti cum fine terra maioris Ecctesiae Surrentinae, viae pubblicae, Ecclesiae Sanctorum Quarti et Quinti etc.
Questa Chiesa esisteva tuttora nel 1572 sotto l’ invocazione Sanctorum quatuor martyrum, come leggesi nella visita di Monsignor Brancaccio al f. 189. In quello stesso anno o poco dopo fu data ai Padri Carmelitani, i quali vi edificarono la nuova Chiesa dedicata alla Beata Vergine che tuttora si vede.

2 Brano tratto da “Chiesa del Carmine” a cura dei Padri Carmelitani di Sorrento, pubblicato a Sorrento nel 1971, da pagina 5 a pagina 8.

3 In effetti la notizia fu già anticipata in “Lo stemma della Città di Sorrento” di Fabrizio Guastafierro Sorrento (pubblicato a Sorrento nel 2005 da Edizioni Gutenmberg ’72), quando (a pagina 49) parlando proprio del numero dei martiri sorrentini fu osservato: Al riguardo non si hanno notizie certe, né sull’esatto numero, né sul nome di coloro che sacrificarono la vita in nome della fede.
Le ipotesi storiografiche più accreditate, rifacendosi al Martirologio Romano parlano di Marco, Quinto, Quartilla, Quintilla ed altri nove compagni (dunque tredici in tutto), ma è certo che, a lungo, i sorrentini hanno riservato particolari attenzioni alla chiesa dei Quaranta Martiri”.