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Una cerimonia per sostituirne un’ altra?

La scoperta – ad opera di Johannes Ramackers – della consacrazione del Duomo di Sorrento risalente al 1113 è ormai da considerarsi come una vera pietra miliare non solo nella storia della Città del Tasso, ma anche per gli studiosi che, a vario titolo, hanno avuto modo di interessarsi al sacramentario custodito presso la Biblioteca Riccardiana di Firenze e catalogato come “Ricc. 299”.
Tra coloro che hanno dedicato attenzione al prezioso manoscritto figura anche John Boe che, nel fare proprie le conclusioni cui è giunto Ramacker, ha avuto modo di aggiungere elementi di novità e spunti di riflessione che regalano nuova importanza al sacramentario sorrentino e consentono di avanzare ulteriori affascinanti eppure verosimili ipotesi (1).
In particolare lo studioso anglosassone ha avuto modo di soffermarsi su un aspetto singolare quello del tempo occorso per recuperare le reliquie dei santi destinate – assieme al sacramentario – alla chiesa guidata dall’ Arcivescovo Barbato, in occasione della consacrazione del duomo di Sorrento.
Al riguardo, infatti, Boe evidenzia: “La natura esclusivamente romana della collezione delle reliquie, suggerisce che la consacrazione della Cattedrale di Sorrento sia stata pianificata ben prima della partenza di Riccardo (di Albano n.d.r.) da Benevento, dal momento che la raccolta di queste reliquie provenienti da tutta Roma avrebbe richiesto un certo tempo.
Ognuno dei santi le cui reliquie sono state elencate risulta sepolto in uno dei cimiteri romani, o lì era stato traslato, o in ogni caso risultava onorato in una basilica, in una chiesa o in una cappella della Capitale, oppure è stato incluso nel XII secolo nei calendari”.
Il rilievo dello studioso appare particolarmente fondato e lascerebbe intendere che la consacrazione della chiesa maggiore sorrentina potrebbe essere stato programmato, in precedenza, per una data ben anteriore rispetto a quella in cui, invece, fu celebrata.
Se così fosse qual’ era la data inizialmente prevista per l’ evento?
La domanda, a prima vista, sembrerebbe non trovare una risposta plausibile.
Questo a meno che non si voglia prendere in considerazione un ulteriore indizio che ci viene fornito proprio dallo stesso lavoro di John Boe quando si evidenzia che il sacramentario si caratterizza, tra l’ altro, per una serie di pagine dedicate alla celebrazione delle messe. Tra le tante Boe si concentra sulla “Missa Sponsalicia” e su questa si sofferma a lungo.
Le particolarità che accompagnano le notazioni di questo genere di celebrazione potrebbero essere casuali, ma potrebbero anche essere collegabili all’ esigenza di offrire la guida per un matrimonio particolarmente rilevante.
Sebbene si tratti di una congettura, siamo propensi a considerare questa seconda eventualità, soprattutto ricordando che, appena due anni prima della consacrazione della Cattedrale, (ovvero nel 1111) la Terra delle sirene ebbe modo di festeggiare il matrimonio di Gaitelgrima, appartenente alla famiglia del duca di Sorrento, con il Principe di Capua, Giordano II (2) e che, per la circostanza fosse previsto l’ arrivo di Papa Pasquale II, o di un suo delegato.
Si tratta di una possibilità tutt’ altro che remota anche ragione di un’ altra considerazione: il Duca di Sorrento Sergio II, a partire dal 1111, cambiò il suo titolo, assumendo quello di principe.
Risulta evidente che un tal genere di “metamorfosi” se, da una parte, può essere giustificato grazie all’ alleanza sancita con la “casa regnante” dei normanni di Capua anche mediante l’ appena ricordato matrimonio e, quindi con l’ assunzione di un titolo analogo, dall’ altra, avrebbe dovuto trovare una sorta di legittimazione negli ambienti pontifici.
La presenza del Papa, o di un suo legato, insomma, avrebbe avuto una duplice valenza, ma il progetto non potette andare a buon fine per impedimenti oggettivi.
In realtà anche la mancata partecipazione del sommo pontefice alle nozze tra gli appartenenti a due delle signorie più importanti del Sud Italia – e l’ eventuale consacrazione di Sergio II come principe – ha una precisa spiegazione.
Non può essere dimenticato, infatti, che proprio nel corso del 1111, Pasquale II fu al centro di tragiche vicende.
Impegnato a contrastare la legittimità dei diritti regali d’ investitura del Re Enrico V (di cui che pure aveva appoggiato la rivolta contro il padre), il pontefice, ben presto si ritrovò nell’ occhio di un ciclone che lo avrebbe potuto travolgere.
Gli eventi cominciarono a precipitare quando proprio “Enrico V partì verso Roma deciso a esigere l’ incoronazione a imperatore e mettere fine alla disputa.
A Sutri (9 febbraio 1111) Pasquale, per evitare un ulteriore conflitto, propose una soluzione radicale. Enrico doveva rinunciare alle investiture e permettere elezioni libere;a loro volta le chiese tedesche avrebbero ceduto i “regalia”, cioè tutte le proprietà e i diritti che avevano ricevuto dall’ impero, conservando soltanto le entrate strettamente ecclesiastiche come le decime.
Enrico accettò questo compromesso, per quanto fosse molto utopistico; quando poi però il testo delle condizioni fu letto pubblicamente durante la messa dell’ incoronazione in San Pietro, il 12 febbraio, fu accolto da un tale coro di proteste che la cerimonia dovette essere sospesa. Il re reagì immediatamente ritirando la sua accettazione e arrestando Pasquale e i cardinali.
Dopo aver tenuto il papa per due mesi in dura prigionia, minacciando di riconoscere l’ antipapa Silvestro IV, Enrico lo costrinse a riconoscere, nel privilegio di Ponte Mammolo (presso Tivoli, 12 aprile 1111), il diritto regale di investire vescovi e abati con anello e pastorale dopo una regolare elezione da lui approvata e prima della consacrazione da parte ecclesiastica. Il giorno dopo Pasquale, che aveva inoltre dovuto giurare di non scomunicare per nessuna ragione Enrico, lo incoronò imperatore in San Pietro.
La capitolazione di Pasquale suscito una tempesta di critiche, sembrava il crollo di tutto quello per cui il partito riformatore aveva lottato. Lui stesso si vergogno di quello che aveva fatto, e nell’ estate del 1111 pensò di abdicare” (3).
Solo in seguito il papa riprese coraggio ed ebbe modo di rendersi protagonista di intense attività che – come si è detto in precedenza – lo videro impegnato nell’ Italia centro meridionale e, in particolare, a Benevento.
Il fatto che il matrimonio tra Gaitelgrima di Sorrento e Giordano II di Capua non sia stato celebrato né dal Papa, né da un cardinale da lui appositamente incaricato, insomma, ebbe cause ben precise e facilmente individuabili.
A questo punto crediamo di poter ritenere fondato un collegamento tra la particolarità individuate a John Boe tanto a proposito della possibilità che l’ invio del sacramentario a Sorrento fosse stato previsto per una data antecedente a quella del 16 marzo 1113, quanto in merito alle caratteristiche delle notazioni della “missa sponsalicia” riportate nelle sue pagine.
Potrebbe essere accaduto, infatti, che dopo essersi trovato nell’ impossibilità di presenziare al già richiamato matrimonio o di inviare un proprio delegato – magari perché in stato di cattività assieme ai suoi cardinali o perché prossimo ad abdicare – il pontefice abbia ripreso in seguito il progetto di dedicare attenzione alla Terra delle sirene.
Magari, così come abbiamo già avuto modo di ricordare, con l’ intenzione di aiutare il tesoro pontificio mediante consacrazioni e raccolte di denaro.
E’ noto, infatti, che Papa Pasquale II fece in modo che le cerimonie che lo videro impegnato si trasformassero in eventi dal cospicuo significato economico per la camera pontificia (ovvero per l’ organo amministrativo delle finanze papali).
Quando il Papa in persona o, in sua vece, un suo stretto collaboratore organizzavano la consacrazione di una chiesa, potevano essere sicuri di ricevere donazioni notevolissime se non addirittura principesche.
In questo senso, quindi, è da ritenersi probabile che il 16 marzo 1113, più che celebrare la consacrazione di nuova Cattedrale di Sorrento – pur di trovare uno spunto utile per giustificare l’ arrivo del Cardinale Riccardo di Albano e le eventuali “pretese economiche” – si sia fatto ricorso ad un espediente ri-consacrando l’ antica cattedrale dedicata ai Santi Renato e Valerio e dedicando lo stesso edificio, magari abbellito, modificato, arricchito ed oggetto di una delle varie campagne decorative a cui si è fatto riferimento in precedenza.
Da quel momento la chiesa maggiore sorrentina dovrebbe essere stata dedicata ai Santi Filippo e Giacomo ed in onore della Vergine Maria, della Santa Croce, di tutti gli angeli, dei Beati apostoli Filippo e Giacomo, degli apostoli martiri, dei confessori, delle vergini e di tutti i santi.
In quella stessa circostanza, probabilmente fu ratificata anche l’ assunzione del titolo di Principe da parte di Sergio II.
Di fatto, insomma, la nuova intitolazione potrebbe essere stata una sorta di “invenzione” utile per giustificare l’ arrivo a Sorrento del Cardinale Riccardo di Albano con tanto di sacramentario e reliquie.
Solo così si giustificherebbe anche il fatto che le pagine del sacramentario stesso – sebbene il manoscritto fosse già destinato da tempo alla chiesa sorrentina – non danno alcun risalto particolare alle celebrazioni previste in onore dei Santi Filippo e Giacomo in occasione della festa patronale, prevista per il 1° maggio.
Un particolare quest’ ultimo che balza agli occhi in maniera ancora più evidente se si considera che per lo stesso giorno erano esplicitamente previsti 12 giorni di indulgenza a quanti avessero visitato il duomo sorrentino.

Fabrizio Guastafierro

© Nessuna parte può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro, senza l’ autorizzazione scritta dell’ autore.

Note:

1 John Boe, “Old Roman Votive-Mass Chants in Florense, Biblioteca Riccardiana, MSS 299 and 300 and Vatican City, Biblioteca Apostolica Vaticana, Archivio San Pietro F11 a source study”, in Western Plainchant in the first millennium – Studies in the medieval liturgy and hits music”, edito a cura di Sean Gallagher, James Haar, Jhon Nadas, Timothy Striplin da Ashgate nel 2003. Da pagina 261 a pagina 317

2 Tra gli altri si vedano
Ottavio Rinaldo – nel secondo tomo di Memorie Istoriche della Fedelissima Città di Capua pubblicato in Napoli nel 1755 – parlando di Giordano II di Capua (che sposò la figlia del duca di Sorrento Sergio I), alle pagine 125 e 126 ha scritto, tra l’ altro: “Non solo Giordano intorno a questi tempi portatosi in Cassino, confirmò il possesso di tutt’ i beni a’ Cassinesi, ma solennemente giurò di proteggerli sempre, e l’ atto del giuramento si riferisce dal Gattula, ed assai mostrò, quanto gli fussero a cuore i Cassinesi, allorché prese apertamente la difesa dell’ Abate Senioreto, che venia molestato da Goffredo dell’ Aquila, il quale pretendea i beni usurpar della Badia. Né contento di questo, fece delle grandi donazioni a’ Cassinesi di S. Angelo in Formis. E perché egli ebbe in moglie prima dell’ anno 1111 Gaitelgrima figliuola di Sergio Principe di Sorrento, n’ ebbe in dote la Città di Nocera con tutte le terre, e casali d’ intorno”.

Alesio de Sariis, in “Dell’ Istoria del Regno di Napoli” pubblicato in Napoli nel 1791 (a pagina 215 del Volume I): “In quest’ anno (1120) essendo accaduta la morte di Roberto Principe di Capua, gli succedette l’ unico figliuolo chiamato Riccardo III, il quale pochi giorni dopo morì, e non lasciando di se progenie, gli succedè Giordano II suo zio, fratello di Roberto suo padre. Resse Giordano il Principato di Capua sette anni e morì. Sua moglie fu Gaitelgrima figliuola di Sergio Signor di Sorrento, la quale fin dall’ anno 1111 erasi con lui sposato, e gli aveva portato in dote Nocera con molti luoghi vicini”.

Pietro Giannone, in “Dell’ Istoria Civile del Regno di Napoli”, pubblicato in Napoli nel 1723 a pagina 108: “Resse Giordano il Principato di Capua senza disturbo per sette anni, insino al 1127, nel qual anno morì. Sua moglie fù Gaitelgrima figliuola di Sergio Signor di Sorrento, la quale fin dall’ anno 1111 erasi con lui sposata, e gli aveva portato in dote Nocera con molti luoghi vicini sottoposti a quella Città”. La stessa affermazione è contenuta anche in varie altre opere dello stesso Giannone e viene testualmente riportata anche in Biblioteca Enciclopedica Italiana stampata a Milano nel 1833. Lì la frase già riportata è trascritta a pagina 351 del 27° volume.

3 “Vite dei Papi (Pietro – Adriano IV” facente parte della collana “I grandi libri della Religione” edito da Mondatori. Pagine 476 e 477