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22) La storia di Sorrento ricca di personaggi su cui investigare

ALCUNI PERSONAGGI SU CUI OCCORRE INVESTIGARE PIU’ A FONDO
Nei primi decenni del XII secolo la storia di Sorrento, soprattutto in seguito ad intrecci dinastici, si è più volte incrociata con quella di Capua con effetti che, a nostro parere, non sono mai stati collocati nella giusta dimensione.
Resta il fatto che la cordialità dei rapporti tra i due principati ha prodotto risultati di grandissima importanza.
Come quelli desumibili dalla storia e dall’analisi delle vicende di alcuni personaggi che, al proprio nome, associarono il predicato “di Sorrento”.

ROBERTO DI SORRENTO: UN PERSONAGGIO DA RIVALUTARE
La figura di Roberto di Sorrento merita sicuramente un discorso più approfondito di quello che ci apprestiamo a sviluppare.
Egli, in realtà, nacque dal matrimonio tra Giordano II, Principe di Capua e Gaitelgrima figlia di Sergio, Principe di Sorrento. A lungo governò lo Stato ricevuto in ragione della discendenza paterna.
Dopo aver appoggiato l’ascesa al trono del primo Re normanno (Ruggiero), Roberto presto diventò l’interlocutore privilegiato di Papa Innocenzo II e di Bernardo di Chiaravalle per favorire le  rivendicazioni e la discesa nel Mezzogiorno dell’ Imperatore Lotario.
Riconosciuto capo della rivolta che si scatenò in Puglia (e che vide impegnati in prima linea i Conti del “tacco d’ Italia”) contro il monarca appena incoronato dall’ Antipapa Anacleto, Roberto II  ebbe un grave torto: quello di non dare – quando avrebbe potuto – il “colpo di grazia” al suo avversario.
Il 24 luglio 1132, dopo aver a lungo combattuto, con alterne vicende, tra Nocera e Scafati, il capo dei rivoltosi, alla testa di un esercito forte di tremila fanti e quarantamila militi, riuscì a sbaragliare le truppe di Ruggiero ed a costringere il re a fuggire a Salerno.
A testimoniare la portata della vittoria contribuisce la conta del numero degli uomini schierati con le truppe reali che finirono in catene. Giuseppe De Blasiis (in “La insurrezione pugliese e la conquista normanna”), al riguardo, scrive: “molti anche dopo la battaglia furono uccisi, e moltissimi fatti prigionieri, tra i quali venti Baroni e settecento militi. Inestimabile bottino, d’ armi, cavalli, di preziosi utensili raccolsero i vincitori”.
Dopo questo trionfo Roberto avrebbe potuto annientare definitivamente il Re ormai praticamente isolato a Salerno e sprovvisto di forze capaci di reggere all’ impatto di un definitivo scontro con gli avversari.
Ed, invece, anche per effetto del desiderio dei Conti pugliesi di rientrare con immediatezza in possesso dei propri feudi, il Principe decise di non infierire.
Fu un errore gravissimo.
Ruggiero, dopo essersi ripreso, iniziò a riorganizzare il suo esercito per  riprendere il cammino verso la zona dove si concentrava il più alto numero di ribelli.
Nell’ arco di due anni si registrò una serie di veri e propri capovolgimenti di fronte.
Roberto, in un primo momento ripetutamente sconfitto, rifiutò di mantenere il possesso dell’ avito principato, in cambio di un atto di formale sottomissione alla casa degli Altavilla.
E, sempre confidando in un intervento imperiale, continuò a brigare assoldando truppe pisane che gli permisero di portare avanti la resistenza.
Nel 1135, però, Ruggiero occupata Capua, l’affidò – sia pure per un breve periodo – al suo terzogenito: Alfonso.
Lo smacco subito non frenò il figlio di Giordano II e Gaitelgrima di Sorrento che, finalmente trovò l’appoggio materiale del Papa, del “Padre” dei Cistercensi e dell’ Imperatore, e poté rientrare in Patria.
Anche in questo caso, però, non si trattò che di una breve parentesi.
Nel 1138 Roberto perse definitivamente il controllo del suo territorio.
E da quest’anno le notizie su di lui diventano contrastanti.
Secondo Giuseppe De Blasiis, infatti, il nipote di Sergio II (da cui sono discese, tra l’ altro le famiglie Sersale e Mastrogiudice), per effetto di una mediazione che vide come protagonista Papa Innocenzo II, avrebbe ottenuto la signoria di Sorrento che, però avrebbe rifiutato “disdegnando l’umile stato” ed in considerazione del fatto che “rinnovandosi le minacce tedesche e bizantine contro Ruggiero” si poteva sperare nell’inizio di una riscossa.
Di avviso diverso è, invece, Vincenzo Donnorso che sostiene: “Per aver Roberto di Sorrento, Principe di Capua aderito alle parti del Pontefice Innocenzio, fù privato del suo Principato, ma poi fatta la pace tra il Rè, ed il Pontefice, gli fù restituito il tutto, come narra Pietro Diacono nella Cronica di Monte Casino lib. 4. cap. 105. ritrovandosi a questi tempi presente. A mò poi il Re Rugiero fuor dell’usato tutte quelle persone, che per la fedeltà a lui prestarono, e n’ottennero gran privilegi, che dagl’altri Rè furono confirmati, tra’ quali molti di questa nostra Città furono esaltati a grandi onori, a cagione della pronta volontà d’unirsi a gl’altri Commilitoni Normandi per la ricuperazione di Gerusalemme, come riferisce il nostro Arcivescovo Filippo”.
Il nodo della questione, in ogni caso è proprio questo: Roberto fu mai materialmente presente a Sorrento? Ne ebbe mai il possesso?
L’ argomento è controverso anche se va precisato che i più accreditati storiografi locali sostengono, sia pure tacitamente, tesi di tipo negativo.
Noi siamo dubbiosi.
Il discendente di una famiglia che aveva dominato uno degli “stati” che, prima dell’incoronazione di Ruggiero d’ Altavilla, era stato tra i più potenti dell’ Italia Meridionale e tra i più autorevoli negli ambienti pontifici (al punto di determinare, tra l’altro, l’elezione di Vittore III) non avrebbe potuto, solo per questioni affettive, onorare l’ origine della madre al punto di “rinnegare” le sue origini capuane.
Più verosimile, invece, è che Roberto sia divenuto “Roberto di Sorrento” proprio per effetto dell’ intervento di Papa Innocenzo II. Peraltro la consegna nelle sue mani dei territori della Terra delle Sirene non sarebbe risultato un vero e proprio “infeudamento”, perché giustificato dal fatto che esso era pur sempre nipote di Sergio II.
Semmai si sarebbe trattato di una “forzatura” nell’ ambito delle “successioni di famiglia” venendosi meno al rispetto dei diritti relativi al maggiorascato.
Certo, quello di Sorrento non sarebbe mai più stato un principato autonomo ed indipendente, ma il fatto di assicurarne il controllo nel rispetto delle genealogie della nobiltà locale, sarebbe equivalso al  riconoscimento di grande dignità da parte del nuovo Re.
Roberto, dal canto suo, non avrebbe “disdegnato l’ umile condizione”, come sostiene il de Blasiis. Anzi proprio da Sorrento sarebbe partito per nuove memorabili imprese.
E’ certo, infatti, che egli si avvicinò fisicamente a Corrado III – nel frattempo succeduto a Lotario – e che seguì l’imperatore nelle delicate fasi preliminari alla terza Crociata (1147-1149). Fino al punto di esserne più volte designato ambasciatore a Costantinopoli.

FILIPPO DE SURRE ED HEINRICO COMITE
Con lui, comunque, furono certamente altri uomini provenienti dalla Terra delle Sirene (e d’altro canto Donnorso è eloquente, in questo senso, quando afferma – come già ricordato – che “molti di questa nostra Città furono esaltati a grandi onori, a cagione della pronta volontà d’unirsi a gl’altri Commilitoni Normandi per la ricuperazione di Gerusalemme, come riferisce il nostro Arcivescovo Filippo”.
Sempre traendo spunto da quanto si legge tra le pagine de “La insurrezione pugliese e la conquista normanna” (del De Blasiis), inoltre, tra gli esuli finiti nella Capitale dell’ Impero Bizantino figurano Philippo de “Surre” ed Heinrico Comite.

IL FALLITO GOLPE DI RUGGIERO DI SORRENTO, MANCATO BASILEUS DI COSTANTINOPOLI
Tutto ciò volendo tacere delle vicende di Ruggero di Sorrento (probabilmente fratello o figlio di Roberto II) al quale Ferdinand Chalandon dedica qualche attenzione (in “Historie de la domination normanne en Italie et en Sicilie”) sostenendo che fece fortuna nella capitale dell’ Impero Bizantino, acquisendo la qualifica di Cesare in seguito al matrimonio che contrasse con Maria Comneno, figlia dell’ Imperatore Giovanni.
Lo stesso Chalandon oltre a confermare la presenza a Costantinopoli di Philippo de “Surre” e di Heinrico Comite (ricavandola da una lettera inviata dall’ Imperatore Corrado III al suo “collega” d’ Oriente Manuele Comneno, succeduto al padre Giovanni e, dunque, fratello di Maria) ipotizza che Ruggiero di Sorrento possa aver tentato un blitz – fallito perché denunziato dalla sua stessa moglie – per tentare di farsi proclamare addirittura “Basileus”.
Tuttavia è da sottolineare che, sempre Chalandon, chiarisce come su questa ipotesi e, più in generale sulle gesta di Ruggero di Sorrento non possano nutrirsi certezze.
Ci risulta che, fino ad oggi, nessuno degli studiosi locali abbia nemmeno minimamente considerato il “golpe” tentato dal presunto sorrentino.
Reale o fittizio che sia, esso – anche per il solo gusto di confutare le tesi sostenute dallo Chalandon – avrebbe meritato una qualche attenzione.
In merito riteniamo che la cosa non possa essere liquidata sostenendo che si tratta di fatti che poco  hanno a che fare con la storia locale perché altrimenti non si giustificherebbero i numerosi riferimenti alla figura di Ruggiero che pure ritroviamo sparsi in numerosi testi che riguardano la storia di Sorrento.
Né può sostenersi che si ritiene inattendibile lo scritto dello Chalandon perché diversamente non avrebbe senso indicarlo tra le fonti di tante pubblicazioni.

RAINONE DA SORRENTO, SIGNORE DI… MADDALONI !!!
Sul numero 6 del Bollettino Storico Italiano, pubblicato nel 1886, è apparso un interessante, ma purtroppo sintetico lavoro di Ignazio Giorgi in merito alla “Confessione di vassallaggio fatta a Rainone da Sorrento dai suoi vassalli del territorio di Maddaloni”.
Nel commentare il documento risalente al mese di gennaio del 1182, infatti, l’autore scrive: “Le istituzioni feudali dell’ Italia meridionale anche di recente sono state studiate abbastanza largamente nelle loro origini, nella legislazione e nei fatti principali e più salienti; ma non altrettanto nel loro funzionamento pratico e negli effetti sulla vita e i costumi di quella regione nel medio evo. Ciò si deve soprattutto al difetto di fonti, chè documenti i quali ci rivelino i particolari della vita feudale e specialmente le relazioni fra i signori e i vassalli, ch’io sappia, non abbondano nelle raccolte a stampa. Il Catalogus baronorum regni Neapoltani sub Guglielmo II rege conditus pro expeditione ad Terram Sanctam suspicienda, edito dal Borrelli e riprodotto dal Fimiani, per la conoscenza della feudalità nel reale al tempo dei Normanni è uno dei documenti più notevoli, perché ci dà modo di valutare l’importanza e, fino ad un certo punto, anche la forza numerica dei feudi maggiori di terraferma: notizie più minute sui rapporti fra i feudatari e i loro vassalli, le quali possano completare il quadro dell’esistenza feudale, sono da cercare principalmente nelle confessioni di vassallaggio che, per la mancanza o la perdita dei libri censuari, doverono di tanto in tanto esser chieste dai signori. A questa specie di documenti appartiene quello che pubblico qui.
L’originale fa parte di una collezione di pergamene appartenuta al monastero di Santa Maria in Portico di Napoli, e che venne nella biblioteca Nazionale di quella città nel 1868. E’ custodito nella prima busta della collezione, portante la segnatura XXII.AA.r.
E’una pergamena alta 0m.710 e larga 0m.482 di scrittura minuscola alquanto sbiadita e in alcuni punti illeggibile. Sul verso la pergamena porta l’indicazione d’archivio: Inventario dello feudo di Maddaloni
”.
Purtroppo Giorgi, oltre a proporre il testo del documento in latino, non aggiunge nulla di più, per cui (in assenza di indicazioni di tipo genealogico) non è possibile stabilire l’ effettiva origine di Rainone da Sorrento, né ricavare elementi in merito alla sua famiglia.
La mancata indicazione di eventuali titoli nobiliari, come pure l’assenza di notizie relative alle ragioni che provocarono lo stato di vassallaggio, inoltre, non consente di stabilire se esso era venuto a  determinarsi per effetto di una successione ereditaria o per altra ragione. Particolari, questi, che viceversa, si rivelerebbero utilissimi per accertare (o smentire) l’esistenza di documenti capaci di testimoniare il permanere di uno stretto legame tra il territorio sorrentino e quello capuano (di cui Maddaloni fece parte prima della caduta del principato) anche dopo la nascita del Regno Normanno.
Malgrado queste lacune, l’atto scoperto da Ignazio Giorni si rivela importantissimo per rilevare l’esistenza di un nobile sorrentino – finora ignorato dalla storiografia locale – che godeva di grande prestigio sul versante capuano.

© Testo integralmente tratto da “Lo stemma della Città di Sorrento, origine e significato, certezze ed ipotesi, note araldiche e cavalleresche” di Fabrizio Guastafierro, pubblicato a Sorrento nel 2005 da Edizioni Gutenberg ’72 Sorrento