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3) I significati astratti dell’ Arma di Sorrento

Fino ad oggi l’unico studioso che ha prestato un’attenzione pseudo-scientifica al significato ed all’origine dell’arma della città di Sorrento è stato Gaetano Canzano Avarna (in “Cenni storici sulla nobilità sorrentina”) Questi, però, ha dovuto ammettere: “Né documenti, né storia palesano in quale riscontro e per eternare la memoria di quale successo Sorrento avesse adottato” il suo “emblema, ché pazienti ricerche ed accurate investigazioni sono rimaste improduttive”.
Partendo da questa corretta premessa, l’autore nel cercare di offrire una possibile interpretazione del significato dello stemma, avrebbe dovuto chiarire l’intenzione di prendere in considerazione qualche ipotesi. Ed, invece, in maniera ingiustificatamente categorica – visto l’arbitrio concessosi, la frettolosità e l’approssimazione del giudizio – ha aggiunto: “Certo è che esso esprime sensi benemeriti, magnanimi, onorabili, imperciocchè nel convenzionale linguaggio dell’ Araldica le losanghe denotano virtù guerriere, vigilanza contro il nemico, animo determinato a respingere le aggressioni, ed il campo rosso significa gaudio, munificenza ed animo infiammato nella difesa dell’avita religione e della patria civiltà”.
Il che, a lungo, è stato considerato esauriente quasi alla stregua di una verità assoluta.
Non può essere sottovalutato, invece, il fatto che nell’operare una sintesi frutto di discutibilissime scelte soggettive (non suffragate nemmeno da congetture o da ipotesi di massima), proprio Canzano Avarna non solo ha operato una censura inaccettabile, ma ha generato anche un imperdonabile equivoco in ordine alla presenza di losanghe, anziché di fusi nello stemma di Sorrento.
Il che ha prodotto effetti deleteri nei secoli successivi.
Prima di soffermarsi sul punto, in ogni caso, è bene ribadire un concetto: colori, simboli, figure e fregi, sono elementi che hanno precisi significati, tuttavia le ipotesi che possono vedere interessato ciascuno di essi, sono sicuramente, assai più numerose di quelle individuate dall’autore.
Da ciò l’esigenza di soffermarsi sulle singole caratteristiche, partendo dagli aspetti cromatici.
IL ROSSO
La gamma dei qualificati studi esistenti sull’ Araldica e dai quali trarre informazioni è ampissima.
Tra i più recenti, in quello di Giorgio Aldrighetti (consultabile sul sito internet dell’Istituto Araldico Genealogico Italiano) si ricava che il rosso può esprimere la carità tra le virtù, Marte tra i pianeti, l’Ariete e lo Scorpione nei segni zodiacali, Marzo e Ottobre tra i mesi, il mercoledì tra i giorni della settimana, la virilità fino a cinquanta anni tra le età dell’ uomo, il sanguigno tra i temperamenti, il garofano tra i fiori, il tre tra i numeri ed il rame tra i metalli.
Secondo Giovanni Santi-Mazzini (in “Araldica – Storia, linguaggio, simboli e significati dei blasoni e delle armi”): il rosso “viene in genere ritenuto (ma non dai Francesi, che lo stimano secondo) il primo fra i colori usati nell’arme, essendo associato al sangue e al fuoco. Le virtù simboleggiate dal Rosso sono la giustizia, l’amore verso Dio e il prossimo, la verecondia; le qualità mondane, lo spargimento di sangue in guerra, la vendetta, il coraggio, l’audacia, il valore, la fortezza, la magnanimità, la generosità, il desiderio ardente, la nobiltà, il dominio (e infatti l’uso del Rosso e dell’Oro erano anticamente riservati ai re).
Del dominio, nella fattispecie del “diritto di regalia”, resta una visibile traccia nelle armi di Anhalt e di Prussia. Nei tornei soltanto, e non nelle armi, da solo significava allegrezza, con l’argento gioia, con l’azzurro desiderio di sapere, col nero fastidio e noia, col violetto amore infiammato.
La Torta di Rosso era detta torteau dagli Inglesi e guse dai Francesi.
Il Rosso è il colore più frequente nell’araldica spagnola (85%), inglese (80%), polacca (75%) e italiana (70%); in quella francese, dove prevale l’Azzurro, il Rosso è molto usato nelle armi Borgognone, Normanne, Bretoni e Guascone, le tre ultime a causa del bisecolare dominio inglese. In Italia era in genere distintivo di parte ghibellina. Alcuni araldisti gli associavano il rubino come gemma e Marte come pianeta: presso gli Antichi il Rosso era infatti il colore della guerra. In campo militare, era il colore favorito dagli Inglesi, sia per le bandiere, sia per le uniformi dell’esercito e dei R. Marines; nella Marina Francese e in quella Turca, la bandiera rossa era riservata alle galere. Da tre secoli, inoltre, nelle segnalazioni marittime la bandiera rossa è segnale di pericolo (imbarco e sbarco polveri). I termini gueules (fr.) e gules (ing.) vengono dal persiano Ghul, rosa.
Graficamente si rappresenta, c.s., mediante un tratteggio a linee verticali, per dipingere gli scudi si usa il vermiglione, e la lacca cremisi per ombreggi e contrasti
”.
L’ARGENTO
L’argento (sempre secondo lo studio di Giorgio Aldrighetti consultabile all’indirizzo internet: www.iagi.info) rappresenta la speranza fra le virtù, la Luna tra i pianeti, il Cancro nei segni zodiacali, Giugno tra i mesi, il lunedì tra i giorni della settimana, la perla tra le pietre preziose, l’acqua tra gli elementi, l’infanzia fino a sette anni tra le età dell’uomo, il flemmatico tra i temperamenti, il giglio tra i fiori, il due fra numeri e se stesso fra i metalli”.
A parere di Santi-Mazzini (opera già citata), invece: “Secondo per nobiltà fra tutti i metalli e i colori usati nell’arme, l’Argento rappresenta la Luna e la sua luce notturna, fredda e pura come acqua cristallina. Simboleggia pertanto virtù quali la purezza, l’innocenza, l’umiltà, la verità, la temperanza, la speranza, ed esprime clemenza, gentilezza, sincerità, concordia, vittoria, eloquenza.
Similmente all’Oro, gli araldisti inglesi blasonavano le armi dei pari con “perla” (pearl) e quelle dei principi con “luna” (luna). Se lo scudo è d’argento pieno è simbolo della pace, della quiete d’animo, della vita ritirata e dell’ amore placido e felice. Così il Crollalanza il quale però fa notare che il significato simbolico muta secondo il colore eventualmente unito all’Argento: col Rosso allegrezza; con l’Azzurro, vittoria; con il Verde, cortesia, umiltà, temperanza; con la Porpora, santità di costumi; con l’Oro, l’eloquenza. Anche sulle bandiere (come bianco) il simbolismo è alquanto variabile: i francesi lo presero per colore nazionale dopo la cacciata degli inglesi, che le avevano rosse, al termine della Guerra dei Cento Anni, e quanto ai Guelfi, soprattutto se di parte bianca, non potevano che adottarla di questo stesso colore. Più in generale, però, il bianco di una bandiera dichiarava prudenza militare, ed è forse per questo che fu in seguito adottata per segnalare parlamentario, e anche di resa.
D’Argento per definizione è il bisante d’Argento. Graficamente non si rappresenta con alcun tratteggio, lasciando perciò inalterato il supporto; nei più antichi documenti si trova pure indicato con la lettera A, o con il simbolo zodiacale della Luna.
Gli elmi dei timbri sono d’Argento (con affibbiature d’Oro) per i nobili da Vidimo a Duca, mentre l’acciaio, ugualmente bianco (e quindi da blasonare) è riservato a semplici gentiluomini e cavalieri antichi, con affibbiature d’Argento. Gli speroni d’Argento, infine, erano contrassegno di scudiero (Écuyer, Esquire).
Le figure d’Argento, soprattutto aquile e leoni, conservano in nero i tratti interni corrispondenti a frange, penne, articolazioni, genitali, occhi, ecc.
Gli scudi vengono inargentati con foglia d’argento oppure dipinti con pittura bianca (d’alluminio). Tonalità in grigio possono essere ottenute con terra d’ombra e bianco di guazzo, e occasionalmente impiegate per ombreggiare figure tondeggianti, quali torri, palle, coppe, ecc
”.
L’ABBAGLIO
Tra i rilievi che si possono muovere a Gaetano Canzano Avarna, c’è quello (già evidenziato in precedenza) relativo all’indicazione delle losanghe anziché dei fusi nell’originario stemma di Sorrento.
Riteniamo che si tratti di un abbaglio clamoroso. In assenza di documenti, infatti, nel descrivere quelle che araldicamente vengono definite pezze onorevoli, non dovevano e non potevano essere prese in considerazione altre armi che non fossero quelle dipinte o scolpite in precedenza.
Nel caso di Sorrento risulta chiaro che i “rombi” raffigurati nei secoli scorsi avevano la caratteristica di possedere la diagonale maggiore di misura doppia rispetto a quella minore.
Un particolare, questo, rilevantissimo. Giovanni Santi – Mazzini (sempre nel suo “Araldica – Storia, linguaggio, simboli e significati dei blasoni e delle armi”), parlando di losanghe e fusi, scrive:
LE LOSANGHE
Se l’etimo è controverso, è invece da tutti accettato che si tratta di un termine primitivamente araldico passato nel linguaggio comune, la questione è interessante perché una corretta definizione etimologica equivarrebbe a scoprirne il significato simbolico in araldica. La parola celtica lausenc, che ha le migliori probabilità d’essere all’origine del termine, deriva da lausa, pietra quadrata: una scaglia, volendo, assimilabile a una punta di lancia o di freccia o anche a una squama di corazza. Certo è, che la losanga araldica ha goduto di larga fortuna, come attestano le numerosissime armi che la portano, da sola o più spesso in numero o a totale copertura dello scudo (losangato, che è tanto attributo quanto convenevole partizione); se in numero, può trovarsi disgiunta oppure accollata e/o contrappuntata, come sempre si vede quando più losanghe si dispongono in croce, in banda, in fascia, ecc. Un caso particolare è quello della losanga confinante, i cui quattro vertici toccano i lati dello scudo, il quale può tuttavia essere blasonato anche in modo inverso “di (smalto della losanga) vestito di (smalto dei quattro triangoli restanti)”. La losanga può inoltre essere svuotata (in pratica, caricata di una losanga più piccola e smaltata del campo: losanga vuota, macle e mascle rispettivamente dei francesi e inglesi) o riempita (come sopra, ma con uno smalto diverso dal campo: losanga ripiena) o forata (fr. Fru.ste; ing. Rustre); in questi casi sembra però trattarsi di oggetti diversi:
borchie e rosette che guarnivano le bande e i chiodi dei gangheri dei portoni, per rinforzo e per ornamento, oppure fregi architettonici. Una losanga vuota può anche trovarsi ornata di fioroni a ciascun vertice oppure munita di un’appendice a L che la rende semipotenziata (e simile a una chiave). Va infine notato che una losanga diventa fuso quando se ne riduce la diagonale minore: non si tratterebbe, però, di una semplice deformazione, ma di una pezza autonoma, simboleggiante il fuso da filare.
Una losanga vuota intrecciata con un filetto in croce di Sant’ Andrea configura nell’araldica inglese una speciale pezza detta Fret, che se moltiplicata, dà luogo ad un cancellato
“.
I FUSI
Quanto ai fusi, invece, l’araldista aggiunge: “I disegnatori araldici del passato (e spesso anche del passato prossimo) non sempre hanno rispettato la norma geometrica che vorrebbe le diagonali del fuso una doppia dell’altra, proporzione, questa, che lo distingue dalla losanga; l’assenza del blasone rende allora difficoltosa l’identificazione, salvo il caso dei fusati che presentano invece un esagerato allungamento. La distinzione non è oziosa, perché si riteneva comunemente il fuso un omaggio all’operosità femminile, e alcuni, come il Ginanni, vi vedevano il simbolo di “chi era giunto alla fine di qualche gran disegno per un’ostinata pazienza”, come l’acutezza degli apici dimostrerebbe.
Diversamente dalla losanga, non si trova né vuoto, né forato, ma può essere disposto secondo le stesse modalità, e formare la convenevole partizione del fusato, attributo da non confondere col fusellato, che qualifica bande e croci risultanti da fusi accollati per gli apici
”.
Alla luce di queste premesse è facile comprendere come la deprecabilissima superficialità di Canzano Avarna abbia procurato, purtroppo, negativi effetti concreti che producono imbarazzanti situazioni d’equivoco ancora ai giorni nostri.
Di fronte alla più volte lamentata mancanza di documenti, infatti, nel richiedere il riconoscimento dello stemma di Sorrento nel 1927, i responsabili dell’epoca, non avendo conoscenze araldiche, male fecero a fidarsi della descrizione dell’unico libro che forniva indicazioni al riguardo e ad indicare, quindi, l’esistenza di cinque losanghe nell’arma della Città.
Resta il fatto, però, che i grafici ed i disegni allegati all’istanza e alla conseguente autorizzazione del 1928 (aventi valore legale) raffigurano cinque fusi!!!

LA RIPRODUZIONE DEI COLORI
Qualche ultima puntualizzazione, infine, è opportuna a proposito della riproduzione dei colori. Ciò anche per chiarire i troppo frequenti e troppo numerosi abbagli che, purtroppo, si sono registrati anche a proposito dell’insegna di Sorrento.
Sull’argomento, Lorenzo Caratti di Valfrei (in “Araldica” osserva: ”Anticamente gli studiosi di araldica avevano risolto questo problema in diverse maniere. Alcuni araldisti individuavano i singoli colori, riproducendo sulla figura la prima lettera del colore corrispondente; altri li individuavano utilizzando le prime sette lettere dell’alfabeto; altri ancora, per individuare i vari smalti, riproducevano sulla figura uno dei primi sette numeri cardinali; e così via; per non parlare poi di quelli che, per identificare i vari smalti, ricorrevano addirittura al nome dei pianeti solari.
Per nostra fortuna, però, ci fu anche uno studioso che propose una soluzione molto più sensata e di facile applicazione pratica. Questi fu il francese Vulson de la Colombière che propose per primo, intorno al 1600, di individuare i diversi colori con degli speciali tratteggi.
Tuttavia, la diffusione di questo sistema avvenne principalmente ad opera di un gesuita italiano: padre Silvestro di Pietrasanta, che per primo l’adoperò nella sua opera Tesserae gentilitiae ex legibus fecialium descriptae, pubblicata a Roma nel 1637.
Secondo questo geniale sistema di individuazione dei colori, gli smalti sono riprodotti nel modo seguente: oro: si semina il campo o la figura di puntini; argento: si lascia il campo o la figura senza alcun segno; rosso: tratteggi verticali; azzurro: tratteggi orizzontali; verde: tratteggi diagonali da destra (dalla sinistra di chi guarda il foglio) a sinistra; porpora: tratteggi diagonali da sinistra (dalla destra di chi guarda il foglio) a destra; nero: tratteggi orizzontali e verticali incrociati. A proposito dei tratteggi degli scudi, è opportuno tenere presente ancora un’altra regola araldica.
Se lo scudo si presenta diritto – come nella quasi totalità dei casi – il problema non sussiste. Ma se, a volte, come raramente accade, lo scudo è inclinato, quale deve essere, ad esempio, la direzione del tratteggio del colore rosso?
Quella della direzione del foglio sul quale disegnate lo stemma, oppure quella dell’asse dello stemma, che risulta inclinato? Non esistono dubbi al riguardo: la direzione del tratteggio del rosso deve essere parallela alla direzione dell’ asse inclinato dello stemma; analogamente, tutti i tratteggi degli altri colori che dovranno sempre riferirsi all’asse inclinato dello stemma
”.

© Testo integralmente tratto da “Lo stemma della Città di Sorrento, origine e significato, certezze ed ipotesi, note araldiche e cavalleresche” di Fabrizio Guastafierro, pubblicato a Sorrento nel 2005 da Edizioni Gutenberg ’72 Sorrento