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La Chiesa di S. Maria Intercede sostituì il tempio di Diana (10)

Una ipotesi di lavoro: Santa Maria Intercede sostituì Artemide?
La discussione precedente ci ha portato a concludere che, nel VI secolo, sulla collina di Capo Napoli, una divinità femminile cristiana, Santa Maria Intercede, era patrona delle donne desiderose di avere un figlio e delle gestanti. Il piccolo santuario dedicato a questa Vergine si trovava esattamente sulla sommità della collina, dove in seguito sorse, inglobandola, la chiesa di Sant’ Agnello Maggiore.
Il  padre Bonaventura Gargiulo, nella sua monografia su Sant’ Agnello, scrisse che le due chiese sorgono esattamente dove, nella antichità, si trovavano il tempio di Diana e la tomba di Partenope(1).
Quali siano state le fonti che hanno indotto il Gargiulo a tale affermazione non mi è riuscito di scoprirlo.
Ho potuto però proficuamente consultare, per verificare la attendibilità delle notizie, l’ opera di Bartolommeo Capasso, Napoli Greco-Romana (Napoli 1905). Trascurando quel che riguarda la tomba di Partenope, che a noi non interessa, leggiamo cosa scrive il Capasso a proposito del tempio di Diana(2): “Girando pel vico Ficarola, e discendendo lungo il muro occidentale fino al decumano medio, s’ incontrava (dove oggi stanno la cappella del Pontano e la chiesa di Santa Maria Maggiore) il tempio di Diana”.
Come precisa l’ archeologo De Petra, chiosando l’ opera del capasso”Aveva già pensato Fabio Giordano a collocare nel detto luogo questo tempio, perché, oltre a ragioni di minor conto, stava li vicino un monumento della fratria degli Atermisii, la quale prendendo il nome da Artemis (cioè Diana) non poteva non avere nella sua circoscrizione un tempio dedicato a questa dea”(3).
Il tempio di Artemide si doveva dunque verisimilmente situare nell’ area dove oggi sorge la chiesa di Santa Maria Maggiore. Di questa opinione fu anche Luigi Catalani, insigne studioso nelle chiese napoletane(4).
Ma Santa Maria Maggiore dista, in linea d’ aria, non più di 200 metri da Santa Maria Intercede, anzi, guardando da uno dei due templi, si può scorgere facilmente l’altro. In ogni caso, l’ antico tempio di Artemide non doveva sorgere molto lontano da Santa Maria Intercede.
Che quel tempio esistesse veramente possiamo oggi affermarlo con certezze maggiori grazie al ritrovamento di un’ epigrafe(5) della fratria degli Artemisii. In questo monumento si decretano alcuni onori a L. Munazio Ilariano il quale, fra le altre benemerenze, aveva quella di avere eretto un tempio di Artemide sotto il regno di Settimio Severo.
A questo punto s’ impone una considerazione: Artemide era venerata nell’ antichità sotto vari aspetti. Fra l’ altro, ella era considerata regina della notte con il nome di Selene (Luna), oltre che delle selve; per gli antichi selve e notte, sotto un certo aspetto, si equivalevano: per loro la selva stava alla città come la notte al giorno. E selva e notte ricordavano agli antichi anche il tenebroso mondo dei morti, così che Artemide prendeva a volte l’ aspetto di una divinità infera (Proserpina). La dea era d’ altra parte, e questo è quel che più c’ interessa, anche protettrice delle nascite con l’ epiteto di Lucina senza che ci fosse contraddizione: chi nasce si dice che “viene alla luce”, e dunque viene dalle tenebre o, come credevano gli antichi, dal regno di Artemide. Non a caso la dea era anche custode della verginità(6).
Alla fine, dunque, del II secolo dopo cristo, sulla collina di Caponapoli, o nelle sue immediate vicinanze, sorgeva un tempio dedicato ad una divinità femminile pagana, protettrice, tra l’ altro, della nascita. Nel VI secolo, la tradizione vuole che sulla sommità della stessa collina si trovasse una divinità femminile cristiana, Santa Maria Intercede, protettrice delle partorienti e delle donne desiderose di concepire.
Fin qui i fatti. Oltre i fatti una semplice ipotesi, forse indimostrabile: Santa Maria Intercede può aver ereditato i caratteri e le prerogative della divinità pagana sostituendola nel sito ove ne era maggiormente diffuso il culto. Non ci sarebbe da meravigliarsi se il culto cristiano fosse penetrato proprio nel piccolo tempio di Artemide trasformandolo in chiesa.
Una simile traslazione sincretistica del culto si verificò certamente, come abbiamo visto, da Santa Maria Intercede a Sant’ Agnello. Un caso simile, ancor più eclatante e paradigmatico, si ha a Paestum dove il tempio di Cerere fu trasformato in Chiesa cristiana. La nuova fede, tuttavia, dovette ereditare alcune forme esterne ed alcuni simboli della dea pagana Hera. “Infatti, quando cacciati via dai morbi degli acquitrini e dalla minaccia della pirateria saracena, gli ultimi abitanti si rifugiarono sui monti vicini, nell’ VIII o IX secolo, portarono con loro il culto di Santa Maria del Granato: ed ancora oggi l’ immagine localmente venerata della Vergine Maria ha nella mano una melagrana, così come l’ aveva già agli albori della vita di Paestum, l’ antichissima Hera”(7).
Note:
(1) cf. Monsignor F. Bonaventura Gargiulo, Vescovo di Sanseverino, il glorioso Sant’ Agnello Abate, studio storico critico con appendici, Napoli 1903, pagina 77.
(2) Bartolommeo Capasso, Napoli Greco-Romana, Napoli 1905, pagina 93.
(3) G. De Petra apud Capasso, Napoli Greco-Romana, Napoli 1905.
(4) cf. L. Catalani, Le chiese di Napoli: descrizione storica ed artistica, Napoli 1845 – 1853, volume I, pagina 124.
(5) cf. D. Mallardo, Nuova epigrafe greco-latina della fratria napoletana degli Artemisi in Memorie della reale Accademia, Lettere e Belle Arti di Napoli, Napoli 1916.
(6) cf. F. Vian, La religione greca in epoca arcaica e classica in H.C. Puech, Storia delle religioni, volume I, pagina 439: “Artemide deve alla sua ascendenza minoica il fatto di riferirsi a tutto ciò che concerne la femminilità. Con Ilitia, ha nelle sue mani la sorte delle future madri e può, volendo, concedere loro un parto felice. Come le ninfe, sue compagne, è una divinità “kurotrofa”, in quanto si preoccupa dei bambini e della loro crescita. Ad Atene ed altrove, i fidanzati, guidati dai rispettivi genitori, offrono sugli altari della dea un sacrificio prenunziale, detto protelio. Gli efebi e le giovani spose le fanno omaggio delle loro chiome”. Cf anche pagine 389 e 419.
Di utile consultazione è anche l’ opera Inni Omerici, a cura di F. Cassola, 1975. A pagina 411 si legge: “Una dea che promuova la fecondità del mondo animale assume facilmente la medesima funzione anche nei riguardi del mondo umano: perciò Artemide è spesso identificata con Ilitia, la dea del parto, e talvolta le sono attribuiti gli epiteti di “paidotrofos” e “kurotrofos”, nutrice… Non risulta invece che Artemide sia mai stata per sé una dea madre: ella è vergine per definizione, e la tutela della maternità si addice alle vergini (Platone, Theaet. 149b)”.
(7) Paestum, a cura di M. Napoli, Novara 1977, pagina 10.
© Testo integralmente tratto dalla Tesi di Laurea intitolata “Analisi storico – antropologica del culto di Sant’ Agnello”, discussa dalla Dott.ssa Laura Parlato, nell’ anno accademico 1979/1980 presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’ Istituto Universitario Orientale di Napoli. Relatore Prof. Alfonso M. di Nola.
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